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sabato 21 aprile 2018

Intervista di Alessia Mocci a Giancorrado Barozzi: vi presentiamo Altruismo e cooperazione in Pëtr A. Kropotkin


[…] Ogni corporazione d’artigiani praticava in comune sia la vendita dei prodotti che gli acquisti in comune delle materie prime, e i suoi membri erano al tempo stesso mercanti e lavoratori manuali. Perciò il predominio raggiunto dalle antiche corporazioni, nella fase iniziale di vita della libera città, assicurò al lavoro manuale l’alta posizione che occupò in seguito nella città stessa. Infatti, in una città del Medioevo il lavoro manuale, stando a uno dei ‘misteri’, era considerato come un pio dovere verso i cittadini, una funzione pubblica, e, qualunque fosse, era sempre onorevole.” ‒ “Il Mutuo Appoggio” ‒ Digest”

Storico di formazione, Giancorrado Barozzi dal 1986 al 2000 ha diretto l'attività scientifica dell'Istituto Mantovano di Storia Contemporanea. Per conto della Regione Lombardia e di altri Enti ha realizzato ricerche nei campi della storia sociale, delle tradizioni del lavoro e della narrativa orale.

È direttore della collana "Il Pasto Nudo, assaggi di antropologia" per la Negretto Editore con la quale ha pubblicato "Cartiera Burgo. Storie di operai, tecnici e imprenditori nella Mantova del Novecento" e nel 2013 “Altruismo e cooperazione in Pëtr A. Kropotkin”, saggio che presenta il Mutual Aid del filosofo e scienziato russo Kropotkin ed il Digest della scrittrice americana Miriam Allen deFord.

Giancorrado Barozzi è stato molto disponibile nel rispondere ad alcune domande che ci mostrano la sorprendente modernità delle teorie di Kropotkin.

A.M.: Ciao Giancorrado, vorrei iniziare congratulandomi per la pubblicazione di “Altruismo e cooperazione in Pëtr A. Kropotkin”, opera di divulgazione del pensiero del filosofo e scienziato russo Pëtr Alekseevič Kropotkin. Il saggio è stato pubblicato a centosettant’anni dalla nascita del filosofo russo (Mosca, 9 dicembre 1842 Dmitrov, 8 febbraio 1921) per commemorare questo grande intellettuale ormai quasi del tutto sconosciuto in Italia. La mia prima domanda ci porta alla genesi del libro: quando hai conosciuto Pëtr Alekseevič Kropotkin e perché nasce la necessità di divulgare il suo pensiero?
Giancorrado Barozzi: È una lunga storia. Tra i sedici e i diciotto anni d’età (quindi tra la fine del 1966 e il 1968, essendo nato nel 1950) avevo letto per la prima volta, o meglio “divorato”, molti libri di Kropotkin, credo tutti quelli che allora erano già tradotti in italiano, da Memorie di un rivoluzionario a La conquista del pane, da Campi, fabbriche e officine ad, appunto, Il Mutuo Appoggio, e così via. A quel tempo, frequentavo il liceo e, nel tempo libero, collaboravo assiduamente alle attività di un circolo culturale della mia città, intitolato alla memoria dell’avvocato e conferenziere anarchico del XIX sec. Luigi Molinari. Dopo l’alluvione veneziana (oltre che fiorentina) del 4 novembre 1966, la minuscola bibliotechina circolante del “Molinari” si trovò di colpo arricchita per l’arrivo di numerosi volumi di saggistica libertaria, provenienti dal circolo anarchico di Venezia, i cui locali erano stati completamente sommersi. Gli autori di quei libri salvati dalle acque, alcuni piuttosto malconci e in edizioni dei primi del Novecento, erano, in prevalenza, Malatesta, Bakunin, Herzen, Arscinov e, appunto, Kropotkin. Negli anni a seguire, quelle letture costituirono per la mia mente un cibo essenziale. In particolare, su tutti gli altri autori, Kropotkin mi parve offrire, ne Il Mutuo Appoggio, un’interpretazione realistica e costruttiva delle società umane e della loro storia. Visione per nulla “utopistica”, basata sull’esercizio della cooperazione e della reciprocità: valori che, in quella stessa stagione, di fatto, io vidi messi in pratica da parte delle tante squadre di giovani volontari che, come me, si recarono a Firenze, convenuti da ogni parte d’Italia, per aiutare la città alluvionata a risollevarsi. Si trattava insomma di quella generazione di nati nel dopoguerra che il regista Giordana, nel titolo pasoliniano dato al suo film, ha poi voluto chiamare La meglio gioventù. Col passare degli anni, mi stupii notevolmente nel ritrovare, nel corso dei miei studi storici e filosofici, la presenza delle idee mutualistiche di Kropotkin, espresse quasi sempre senza alcuna indicazione della fonte, nelle opere di altri autori di culto, dal Saggio sul Dono dell’antropologo Marcel Mauss sino agli scritti recenti della brillante saggista statunitense Rebecca Solnit. Segno che il pensiero di questo vecchio scienziato russo non era affatto cosa morta, ma anzi doveva essere riuscito a penetrare in profondità, sia pure (come ho detto) quasi sempre in incognito, in quelle che consideravo, e tuttora considero, le più avanzate manifestazioni del pensiero e della pratica sociale del nostro tempo. S’imponeva dunque con urgenza, a mio parere, il compito di ridare “a Cesare quel che è di Cesare”, ossia rivelare ai lettori del nostro tempo il peso dell’effettiva influenza esercitata dal pionieristico, quanto purtroppo qui da noi misconosciuto, pensiero di Kropotkin su una vasta schiera di epigoni. Inoltre era per me un obiettivo indispensabile contrapporre all’effimero trionfo dell’egoismo, che sembra pervadere ogni angolo della nostra società, i valori perenni e duraturi (ma che non fanno notizia sui media) dell’altruismo e della cooperazione, senza i quali l’intero nostro mondo crollerebbe all’istante.

A.M.: Nel primo capitolo “Egoismo o altruismo” rifletti sul contrasto tra angelico e diabolico portando avanti la tesi della vittoria dell’altruismo sulla sopraffazione seppur quest’ultima esistente e continuamente visibile con il ragionamento per il quale nonostante guerre, cataclismi ed ingiustizie di ogni tipo l’essere umano abita ancora la Terra ed è alla continua ricerca di soluzioni per il quieto vivere. “Altruismo e cooperazione in Pëtr A. Kropotkin” è stato pubblicato nel 2013, dunque a distanza di cinque anni hai modificato il tuo pensiero oppure continui a vedere la vittoria dell’altruismo?
Giancorrado Barozzi: Di primo acchito, potrei cavarmela col dire: dipende dai punti di vista. C’è chi, ad esempio, vede il bicchiere che tiene tra le manimezzo vuoto e chi invecegiudica il medesimo bicchiere mezzo pieno. Ma, considerando la questione fuori di metafora e nel suo insieme, non si tratta di far prevalere, attraverso scelte infondate, il pessimismo o il suo contrario: l’ottimismo. Il mondo non va nel modo in cui noi lo percepiamo o come vorremmo che andasse. C’è da essere consapevoli delle gravi deformazioni soggettive imposte alla realtà dal lavorìo della psiche umana e delle mistificazioni dicoloro cheriducono l’intera storia dell’umanità a un perenne contrasto tra il “bene” e il “male”. A tale proposito i miti e le religioni avevano offertoall’umanità degli splendidi tentativi di soluzione del problema, o meglio dei suggestivi appigli per la rassicurazione collettiva. Credenze campate in aria, poiché basate su argomenti di fede del tutto privi di fondamento scientifico. La questione va impostata diversamente, facendo appello alla scienza e superando le suggestioni culturali, psichiche e religiose, che hanno condizionano l’umanità nel passato e, credo, continueranno a farlo anche in futuro, perché l’essere umano preferisce le illusioni alla realtà. Un valido punto di partenza per uscire da questa empasse ci è dato dagli studi sull’evoluzionismo compiuti nel XIX secolo da un naturalista inglese, Charles Darwin. È a partire dalle sue acquisizioni, ormai pienamente assodate in campo scientifico, ma purtroppo ancora insufficientemente metabolizzate dalla cultura dominante, che gioverà muovere i passi per rispondere al grande dilemma morale “egoismo o altruismo” che ha tenuto impegnate le menti più acute di questi ultimi due secoli. Le quali, a loro volta, hanno finito però col dividersi in due grandi fazioni: da una parte i fautori del cosiddetto “darwinismo sociale”, fondato sulla legittimazione dell’“egoismo” (Dawkins), ossia della supremazia del più “adatto” e/o del più “forte” sulla massa degli “inetti”, e dalla parte opposta i sostenitori del “mutualismo”, della cooperazione di gruppo, della disponibilità a mettere al servizio degli individui della stessa specie le proprie doti e capacità, in vista del conseguimento di un bene comune. Posizione, quest’ultima, compiutamente formulata, forse per la prima volta, in virtù dei suoi studi compiuti in campo zoologico e sociologico, da Kropotkin, e in seguito convalidata, attraverso un’ininterrotta catena di osservazioni scientifiche realizzate da studiosi di enorme valore (Hamilton, Price, Gould). Dopo la lettura del Mutual Aid di Kropotkin, è stato proprio lo studio delle opere degli scienziati che ho qui menzionato, appartenenti alla seconda corrente del darwinismo, ad avermi pienamente convinto (come lo sono tuttora) a schierarmi dalla loro parte e a prendere invece le distanze dalle teorizzazioni sul “gene egoista” formulate dallo zoologo e divulgatore scientifico Richard Dawkins, il quale, in ultima analisi, non ha fatto che riproporre la vulgata del vecchio “darwinismo sociale”, posizione scientificamente assai debole, oltre che politicamente reazionaria (sebbene, sul piano scientifico, essa sia pur sempre preferibile ai vaneggiamenti dei “creazionisti”, i quali respingono in blocco la teoria darwiniana dell’evoluzionismo).

A.M.: “The Mutual Aid, a factor of evolution” è stato pubblicato a Londra nel 1902 ed è ancora di grande interesse per le teorie portate avanti sul mutuo appoggio eppure risulta arduo aver in mano una copia del libro malgrado le numerose ristampe che si sono susseguite non solo in Italia ma in tutto il Mondo nel corso del XX secolo. Come spieghi questa difficoltà?
Giancorrado Barozzi: Come ho già detto, dagli inizi del Novecento sino ad oggi, l’idea del “mutualismo” si è venuta radicando sempre più presso certi ambienti scientifici e culturali, e il risultato delle ricerche di Kropotkin è stato plagiato e saccheggiato a man bassa da illustri studiosi, che se ne sono appropriati, spesso senza renderne però il giusto merito al loro principale ispiratore. Le motivazioni di questa sorta di congiura del silenzio, in ambito scientifico, sul nome di Kropotkin dipendono dal fatto che l’autore russo fu, oltre che un valente scienziato, anche un acceso propagandista dell’anarchia che, ritengo a torto, era considerata dai benpensanti un’utopia politica. Ammettere, da parte degli scienziati accademici appartenenti alla cultura ufficiale, che il padre della corrente mutualistica del darwinismo era un “utopista” in politica, avrebbe, stando a loro, finito col compromettere anche la parte “buona” del suo pensiero, quella basata sulla ricerca sperimentale che aveva portato alla scoperta delle teorie espresse nel Mutual Aid. Per questo motivo gli scienziati evoluzionisti, per lungo tempo, hanno preferito evitare di fare il nome di Kropotkin, ponendo una sorta d’interdetto su di lui, pur ponendosi, d’altra parte, nel vivo delle loro ricerche, tacitamente sulle orme di questo stesso autore. I libri di Kropokin, incluso il Mutual Aid, hanno avuto quindi una diffusione esclusivamente interna al circuito dei lettori interessati all’anarchismo, che com’è noto rappresenta una nicchia fortemente ristretta di lettori, oltre che fortemente ideologizzata, quando addirittura non settaria. Ecco perché il Mutual Aid, pur circolando in varie traduzioni in tutto il mondo, ha avuto una circolazione minoritaria e semiclandestina, affidata quasi esclusivamente a piccole case editrici legate alla propaganda del pensiero anarchico. Nel caso dell’Italia, ad esempio, il Mutual Aid fu tradotto, nei primi decenni del Novecento, un paio di volte, per merito, non a caso, di due esponenti dell’anarchismo italiano: Gaetano Panazzabe Camillo Berneri. Anche se va detto che, in un primo momento, tra il 1890 e il 1896, quando il pesante interdetto nei confronti di Kropotkin non si era ancora manifestato, la sua opera aveva cominciato a diffondersi, a puntate, attraverso il massimo organo ufficiale del darwinismo, la rivista londinese «The Nineteenth Century». Di lì a poco però, su diretta istigazione del suo più accanito avversario in campo scientifico, il “darwinista sociale” Thomas Henry Huxley, che lo tacciò di “utopista”, Kropotkin fu ostracizzato dalla società scientifica londinese ed estromesso dalla loro rivista. Da quel momento in poi il suo nome rimase confinato unicamente entro la ristretta cerchia dei suoi estimatori politici. Il che finì col nuocere gravemente, nei confronti dell’opinione pubblica, alla sua popolarità.

A.M.: Il 1900 è stato alimentato da un’accesa discussione sulle origini dell’altruismo e le tesi di Kropotkin sono state al centro dei salotti di tutta Europa ed America. Qual è il maggior oppositore del filosofo russo?
Giancorrado Barozzi: Come ho già detto, l’evoluzionismo mutualistico di Kropotkin riscosse, sin dal primo momento, un notevole interesse presso gli ambienti scientifici dell’epoca, in quanto esso veniva a inserirsi nel contesto più ampio del dibattito, allora in auge, intorno alle interpretazioni delle teorie darwiniane. Gli articoli di Kropotkin pubblicati alla fine del XIX secolo sulla rivista «The Nineteenth Century», che costituirono il primo abbozzo del Mutual Aid, si ponevano infatti in stretta sintonia con l’opera di Darwin, in particolare col libro The Descent of Man (L’origine dell’uomo), dato alle stampe nel 1871, nel quale il padre dell’evoluzionismo mitigò la componente “egoistica” della propria teoria dell’“adattamento”, così come lui stesso l’aveva in precedenza espressa ne L’origine della specie (1859), riconoscendo nella sua nuova opera il valore effettivodella cooperazione e dell’altruismo. Valore invece ostinatamente negato, ai fini evolutivi, negli scritti di Huxley, il quale, dopo la morte di Darwin, si autoproclamò custode assoluto del “verbo” del maestro, meritandosi l’appellativo di “mastino di Darwin”. Nel Mutual Aid Kropotkin polemizzò in tono esplicito contro Huxley e la sua rigida interpretazione del darwinismo, fondata sulle opere del primo Darwin, senza tenere in debito conto le integrazioni contenute ne L’origine dell’uomo. La polemica tra i due contendenti, avviata sulle pagine della rivista londinese, finì col travalicare i confini disciplinari, trasformandosi da scientifica in politica. Alla fine Huxley, in quel contesto, ebbe la meglio, bollando come “utopista” il proprio rivale, senza peraltro riuscire a confutarne le osservazioni di carattere squisitamente scientifico. A ben vedere, la polemica si è venuta a protrarre per oltre un secolo, ben oltre le morti dei due rivali (nel 1895 Huxley e nel 1921 Kropotkin), coinvolgendo alcune delle le migliori menti sia al di qua che al di là dell’Atlantico. Durante questo periodo, nel prosieguo della polemica scientifica, il nome di Kropotkin venne tuttavia a eclissarsi, per le motivazioni che precedentemente ho già esposto. E fu soltanto nel 1988, in un articolo comparso su «Natural History», poi ripreso in un fortunato libro del 1991, che il paleontologo e noto divulgatore scientifico Stephen Jay Gould osò rompere la congiura del silenzio e proclamare i reali meriti dello scienziato russo, individuando (giustamente) in lui l’autentico capostipite della corrente evoluzionistica che, per semplificare, potremmo definire “sinistra darwiniana”. Così anche il mio libro prende le mosse dalle “rivelazioni” fatte da Gould sui meriti scientifici di Kropotkin. L’obiettivo principale del libro che ho scritto, proseguendo sulle orme di Gould, è infatti quello di riscoprire più a fondo il ruolo di primo piano avuto da Kropotkin in campo scientifico; ruolo troppo spesso offuscato da una considerazione unilaterale (sia da parte dei suoi seguaci che dei suoi detrattori) della attività da lui svolta in campo politico. È insomma il Kropotkin scienziato che, in primo luogo, ho voluto ricollocare al posto d’onore nei confronti dell’umanità intera, e non più celebrare solo il profeta politico unicamente apprezzato dai seguaci dell’anarchismo. Anche se, va detto, non è possibile scindere in due parti nettamente distinte e non compenetrabili tra loro, la complessa personalità (scientifica e politica) di quest’uomo di genio. 

A.M.: Nel settimo capitolo del tuo saggio, “Il dono: Mauss e Bataille”, tratti delle documentazioni di Kropotkin sui “selvaggi” con un passaggio sugli eschimesi, i quali esercitando l’uponcommunism ponevano rimedio all’accumulo di ricchezza con la distribuzione collettiva dei beni. Come e perché avveniva questa concessione? Ed attualmente ci sono popolazioni sebben ridotte che attuano la suddivisione delle ricchezze?
Giancorrado Barozzi: Nel secondo capitolo del Mutual Aid, dedicato al Mutuo Appoggio tra i Selvaggi, Kropotkin affronta il tema del “dono”. Come tu hai detto, in alcune pagine della mia introduzione ho segnalato le fonti da lui utilizzate per la stesura di quella parte del libro che tratta della reciprocità e della cooperazione presso quelle popolazioni che oggi definiremmo “d’interesse etnologico”. Ho inoltre rivelato i numerosi “prestiti” da Kropotkin realizzati da alcuni autori, anche di chiara fama, che hanno ripreso (come al solito senza citare la fonte) le considerazioni sul “dono” già esposte nel Mutuo Appoggio. Kropotkin attinse, a sua volta, le notizie per la stesura di questo capitolo dal libro di un antropologo suo carissimo amico, oltre che stretto collaboratore in campo politico: Élie Reclus, fratello del geografo Élisee Reclus, anch’egli anarchico. Nel 1891 Élie Reclus pubblicò a Londra una raccolta di studi etnologici, dal titolo Primitive Folk, nei quali descrisse le usanze di alcune popolazioni “primitive”, tra le quali gli Inuit (uno dei gruppi etnici in cui sono divisi gli Eschimesi) del circolo polare artico e i pellerosse del Nord America. Egli osservò che presso questi popoli vigeva una curiosa pratica di sperpero delle ricchezze che contraddiceva i principi fondamentali dell’accumulazione capitalistica, dominanti invece nel mondo Occidentale. Una volta raggiunto un certo livello di ricchezza, le famiglie Inuit disperdevano tutti quanti i loro beni a beneficio dei membri più poveri della comunità, tramite doni e feste rituali. Una pratica analoga era in voga anche presso alcune tribù native della costa nord-occidentale del Pacifico. Nei secoli scorsi quest’usanza, definita a livello locale in vari modi, ma ben nota presso gli antropologi del giorno d’oggi col termine Potlach (tradizione ora, credo, non più in uso a causa dell’avvenuta distruzione delle culture indigene da parte dell’uomo bianco), fu osservata dal vivo e minutamente descritta da una vasta serie di viaggiatori europei del XVIII e XIX sec., rigorosamente citati nel libro di Reclus. Fonti che ricompaiono intatte, guarda caso, anche nelle note del Saggio sul Dono pubblicato negli anni ’20 del Novecento dall’antropologo francese Marcel Mauss, in cui viene ripresa, pari pari, anche la teoria della reciprocità tra i “selvaggi” già esposta da Kropotkin nel secondo capitolo del Mutual Aid. Guarda caso, Mauss non cita affatto però, tra le numerose fonti del proprio contributo scientifico, né il nome di Kropotkin né quello di Élie Reclus. Poiché questo scritto di Mauss è ritenuto, giustamente, un autentico classico del pensiero antropologico, mi sono sentito in dovere di richiamare l’attenzione dei lettori di oggi sulle fonti principalidi quel libro (appunto, le opere di Kropotkin e di Reclus) totalmente, quanto inspiegabilmente, passate sotto silenzio dall’antropologo francese.



A.M.: Ci sono altri autori che stimi profondamente e di cui vorresti divulgare il pensiero?
Giancorrado Barozzi: Dato che Kropotkin, per le sue prese di posizione politiche libertarie fu tacciato, sia da destra che da sinistra, di essere un “utopista”; dopo lo studio che ho condotto sulla dimensione scientifica, a mio parere (ma anche di S.J. Gould e di altri naturalisti) tuttora pienamente valida, della sua opera, ho preso a orientare i miei principali interessi in due diverse direzioni, sempre pronte però a contaminarsi l’una con l’altra. Una parte delle mie ricerche si è dunque focalizzata sull’eredità del “mutualismo”, fondato da Kropotkin, in campo scientifico, privilegiandole opere di due grandi scienziati, purtroppo in Italia ancora poco noti al grande pubblico. Mi riferisco a George Price e a William Donald Hamilton, ai quali si deve, tra l’altro, la formalizzazione algebrica della cosiddetta “legge dell’altruismo”. I lettori che conoscono The Selfish Gene (Il Gene egoista) di Richard Dawkins, un fortunato libro di divulgazione scientifica che risale a qualche decennio fa, e che ha avuto una discreta diffusione anche in traduzione italiana, avrà già sentito i nomi di questi due scienziati. Va detto però che Dawkins, dichiaratosi un seguace del “darwinismo sociale” propugnato da Huxley, pur avendo dovuto citare (per il loro valore scientifico) Price e Hamilton, cercò tuttavia nel suo libro di sminuire la portata delle loro scoperte. La cultura italiana misconosce ancora, in gran parte, gli studi di questi due ricercatori, entrambi ahimè passati ormai a miglior vita. Per quel che mi sarà consentito di fare, vorrei perciò contribuire a divulgare la conoscenza delle loro vite (assolutamente esemplari) e dei loro studi presso il pubblico italiano. L’altro filone di ricerca che sto seguendo e che trae anch’esso origine dai miei studi su Kropotkin, si occupa della dimensione “utopica” del pensiero umano nei suoi molteplici aspetti: artistico, sociale e politico. Quale punto di partenza per affrontare questo viaggio nel mare magnum dell’utopia ho scelto di concentrarmi sull’opera di un autore sudamericano del Novecento, Darcy Ribeiro, che, proprio come Kropotkin, ha compiuto anch’egli poliedriche ricerche e sperimentazioni in vari ambiti dello scibile umano: dall’antropologia all’impegno politico, dalla pedagogia alla creazione letteraria, e altro ancora. Per le edizioni Negretto sto, proprio in questi giorni, curando la riedizione, in una nuova versione affidata a una valente traduttrice (Katia Zornetta), di un visionario romanzo scritto appunto da Ribeiro negli anni ’80, Utopia selvagem (Utopia selvaggia). In questo suo libro l’autore ha condensato, in forma giocosa e carnevalesca, i punti chiave di un suo originale progetto di trasformazione della realtà sociale, con particolare riferimento al contesto culturale afro-brasiliano, all’interno del quale egli stesso ebbe a operare in concreto, per la rinascita del proprio paese e per il miglioramento delle condizioni di vita dei ceti diseredati della sua terra. Salvo imprevisti, il libro, che ha il patrocino della «Fondazione Ribeiro» con sede in Brasile, dovrebbe uscire entro quest’anno. Dopodiché, assieme all’editore Negretto, penso di mettere in cantiere qualche altra pubblicazione, non più di genere narrativo, riguardante sempre il tema dell’utopia. 

A.M.: Come ti trovi con la casa editrice Negretto Editore? La consiglieresti?
Giancorrado Barozzi: È ormai da una decina d’anni che collaboro con questa casa editrice che è in prevalenza orientata alla pubblicazione di opere saggistiche d’argomento filosofico e di testi riguardanti i temi della prevenzione delle disabilità e del disagio sociale, della solidarietà e del cooperativismo. Ciò che più apprezzo in questo editore, che tra l’altro ha avuto il sangue freddo d’andare controcorrente decidendo di avviare la propria attività esattamente nel momento in cui ha avuto inizio la grave crisi economica mondiale che tuttora affligge l’Italia e il mondo intero, è la sua assoluta coerenza nelle scelte dei testi da pubblicare. Negretto mette in cantiere e realizza pochissimi libri all’anno, punta quindi sulla qualità e non sulla quantità delle proposte, non è (come invece molti altri suoi colleghi) un editore a pagamento, ma sceglie personalmente e con la massima cura le opere da inserire nel suo catalogo, coadiuvato ovviamente, nelle scelte e nella cura dei volumi, dai direttori delle sue collane editoriali. Il Pasto Nudo, la collana di storia sociale e antropologia, che ho l’onore di dirigere, presso le edizioni Negretto, si propone di avvicinare nuovi lettori a interessarsi delle scienze umane. I libri della collana toccano temi d’attualità o argomenti rimossi, quali i sogni, l’inconscio, il mondo magico, le paure e le utopie. A tutt’oggi la collana ha al suo attivo l’edizione di tre volumi, più uno in preparazione (Utopia selvaggia di Darcy Ribeiro). Non vorrei passare per quell’oste che dichiara di avere sempre e solo del buon vino, ma in coscienza mi sento di consigliare ai lettori, sia che essi siano lettori forti e cultori d’antica data delle scienze umane, che principianti assoluti di queste discipline, di accostarsi con fiducia ai testi della nostra collana, la quale ha almeno tre pregi: l’originalità e notevole interesse scientifico delle sue proposte tematiche, l’assoluta chiarezza e comprensibilità della scrittura che aspira a rendersi accessibile a ogni genere di lettore, e infine l’estrema cura della veste editoriale (dalla grafica delle copertine, alla scelta dei caratteri e corpi di stampa, ecc.). Voglio infine cogliere l’occasione per lanciare qui un appello agli autori d’inediti che riguardino i temi specifici di questa collana, che è interdisciplinare, ma ha una sua interna coerenza: la collana Il Pasto Nudo è alla costante ricerca di nuove “voci” da inserire nel proprio catalogo. Per sottoporci, in valutazione, una proposta di pubblicazione raccomando di rispettare i seguenti criteri: inviare all’editore Negretto, in formato digitale o cartaceo (a scelta dell’autore), una sintetica sinossi del proprio libro, purché inedito, assieme a un breve specimen del testo (max10 pagine), non inviare manoscritti completi, e astenersi dal proporre la riedizione di testi già in precedenza pubblicati da altri editori. Nella collana da me diretta si pubblicano solo saggi inediti, o nuove traduzioni di autori stranieri, su originali temi d’antropologia e di storia sociale.


A.M.: Salutaci con una citazione…
Giancorrado Barozzi: Il bello della vita è sorridere Darcy Ribeiro, Utopia selvaggia, XV capitolo

A.M.: Giancorrado ti ringrazio per questa interessantissima chiacchierata augurandomi che i lettori possano iniziare a prendere in considerazione le teorie di Kropotkin. Ti saluto con le parole di Carl Gustav Jung: “Si sopravvive di ciò che si riceve, ma si vive di ciò che si dona.

Written by Alessia Mocci
Ufficio Stampa Negretto Editore

Info
Sito Negretto Editore
http://www.negrettoeditore.it/
Acquista
https://www.unilibro.it/libro/barozzi-giancorrado-de-ford-miriam-a-barozzi-g-cur-/altruismo-cooperazione-petr-a-kropotkin/9788895967264
Facebook Negretto Editore
https://www.facebook.com/negrettoeditoremantova/
Sito Odori Suoni Colori
http://www.odorisuonicolori.it/

Fonte
http://oubliettemagazine.com/2018/04/16/intervista-di-alessia-mocci-a-giancorrado-barozzi-vi-presentiamo-altruismo-e-cooperazione-in-petr-a-kropotkin/


venerdì 20 aprile 2018

RITA ZINGARIELLO: “IL CANTO DELL’APE” è il nuovo album della cantautrice pugliese



Da un’operazione di crowfounding prende forma Il disco che simboleggia il momento di forte consapevolezza maturato dall’artista, tramutato in una necessaria esigenza di raccontare l’epidermico piacere di fuggire l’ombra.


Il canto dell’ape” è un disco di ampio respiro che si colora di un sound contaminato che va a supporto di una vocalità limpida e diretta.

Le atmosfere e le influenze che hanno ispirato il disco sono tante e diverse tra loro, dal pop d’autore all’indie-rock, dalla musica dub al bluegrass, con sonorità vintage e moderne insieme, dove la costante è l’uso di strumenti acustici, uniti a un utilizzo minimale dell’elettronica, intesa come strumento aggiunto. La voce “pulita” e la semplicità dei testi conducono attraverso un viaggio fatto di verità e rinascite, dove parole e melodie si contaminano con l’aria più internazionale degli arrangiamenti.

«Il disco è stato pensato a casa mia, dove spesso scrivo in solitudine per riordinare pensieri. E’ un’azione che, oltre a farmi stare bene, è diventata la mia migliore ed unica psicoterapia.
Con questo disco ho svelato a me stessa dove sono arrivata e come ci sono arrivata.
Le canzoni sono nate con più penne, una chitarra e un pianoforte. Ho riempito fogli di parole e scarabocchi.
Ai fogli che non sono finiti accartocciati è toccato di venire catalogati in uno schedario verde mela ad anelli, da cui ho poi scelto le undici tracce di questo album.
Quando sono stata convinta di liberare in volo le canzoni ho incontrato Vincenzo Cristallo, chitarrista amico, con cui ho condiviso l’avventura dei live del mio album precedente, “Possibili percorsi”, e a cui ho deciso di affidare gli arrangiamenti di quest’ultimo disco.
L’album rispecchia quello che da oltre vent’anni è il mio rapporto con la musica: ascolti e studio, intimità e istintività.
Il vestito finale dell’album lo abbiamo confezionato nello Stones Lab Studio, dove la disponibilità e la professionalità di Leo Zagariello, che ha curato la ripresa del suono e di Angelo Nigro, che si è occupato delle programmazioni e della post-produzione del disco, hanno materializzato le nostre idee iniziali.
Il risultato è un progetto moderno, rivisitato in un’ottica crossover, in cui tanti sono i generi che si fondono con un’idea di partenza semplice ma al tempo stesso forte e di carattere». Rita Zingariello





TRACK BY TRACK

AMSTERDAM
Il testo nasce da un viaggio prenotato per caso ad Amsterdam con la volontà di ricongiungere una parte di sé col mondo. E’ estate e le strade sanno di legno e di mare in un luogo che sembra slegato dal tempo. La canzone rimanda dai primi ascolti alla piacevole invasione di colore negli occhi. La leggerezza e la semplicità volute nell’arrangiamento sono arricchite da una nota malinconica richiamata dagli archi a metà brano, quasi a voler sottolineare una più profonda volontà di trasformare i pesi del passato in ricchezza del presente.

IL CANTO DELL’APE
Le cose incompiute, la staticità di una stanza e il mondo in movimento intravisto attraverso una finestra aperta. La coscienza sopita, inaspettatamente, inizia a cantare: è arrivata la primavera, sorride ed è pronta ad uscire dalla stanza per allungare la mano a quel mondo che fino ad allora non aveva mai perdonato.

BALLO FERMA
La fretta, la curiosità, l’inutilità delle parole… Non può esserci tempo per la noia! Ballare, mangiare, parlare nel proprio unico modo, decidendo di essere solo come si è, sognando e senza arrabbiarsi mai. La cantautrice si spoglia completamente in un’ironica autobiografia. In un’atmosfera danzante e fluttuante, manifesta il suo desiderio di trovare leggerezza in quelli che si ostinano a prendersi troppo sul serio.
Durante le prove, l’abbaio ritmico e intonato di Babi, il bassotto di Vincenzo (chitarrista e arrangiatore del disco) diventa ispirazione per il ritornello e si unisce al Duni Jazz Choir di Mario Rosini. Il risultato è un mix frizzante di sonorità acustiche e ritmiche che strizzano l’occhio da un lato al rock, dall’altro alla dance.

SPALANCA
La paura ha bisogno del coraggio come il tempo ha bisogno della pazienza. Ci sono cose che ti costringono ad aspettare, anche quando stavi proprio ad un passo dal traguardo. E allora ci sono due modi per affrontare l’attesa: l’ansia e la pazienza. Così, mentre vedi gli altri tagliare il traguardo prima di te, capisci che non ha nessuna importanza arrivare primi. L’importante è godersi l’arrivo.
L’idea dell’arrangiamento è partito da una chitarra resofonica con un’accordatura aperta. Il risultato è una ballad con influenze bluegrass, in cui il ritornello si ispira al trip-pop con una vena indie-rock.

SENZA NOTA SUL FINALE
Il brano elogia la bellezza delle piccole cose. La musica crea un’atmosfera intima e confidenziale. L’atmosfera si muove attraverso una molteplicità di sonorità: partendo dalla strofa iniziale in cui la semplicità di un foglio e un guitalele richiamano il modo in cui nascono le canzoni di Rita, si passa attraverso sonorità dub e vintage fino alle chitarre western, che ricordano i film di Sergio Leone. Nella dimensione conclusiva la fisarmonica e il coro conducono in un ambientazione volutamente popolare. Sembra quasi che dalla stanza creativa ci si spostasse in una piazzetta francese a fischiettare e canticchiare il brano finito.
PREFERISCO L’INVERNO
Una chitarra flamenco vissuta di storie e una frase estratta da un testo mai completato. Non c’è niente e nessuno che possa risanare un taglio ancora aperto. L’atmosfera intima, dolce e struggente insieme, di questo brano, sembrano sospendere a mezz’aria il fluire del disco per un minuto e mezzo.

IL GIOCO DELLA NEVE
Aspettare che l’amore sia pronto a riconoscere se stesso, significa ibernare il proprio cuore, tenerlo in sospeso senza il peso della responsabilità.
Il freddo dell’indecisione, nel suo essere così invisibilmente pesante, si contrappone all’esplosione passionale del tango, lasciando intravedere il desiderio profondo di sciogliere quel ghiaccio e arrendersi al sentimento. Negli arrangiamenti il tango viene riprodotto attraverso un ritmo dubstep, una chitarra vintage e sequenze elettroniche che citano, come fossero uno strumento aggiunto, alcuni samples estratti da una delle versioni più belle di “Milonga de amor” dei Gotan Project, “Santa Maria (Del Buen Ayre)”.

SICURE SIMMETRIE
Una casa perfetta, il successo ambito e raggiunto, la sicurezza di essere in cima ed avere tutto sotto controllo, continuando a guardare in alto. Poi d’improvviso la vertigine. E’ tutto finto e il tradimento è stato solo la scoperta di una fiaba di carta, dove la dolce follia dell’amore è completamente evaporata in un ballo da troppo tempo ingessato!
L’arrangiamento mischia atmosfere psichedelico-elettroniche con i suoni acustici di chitarra e contrabbasso. La batteria dell’ultimo ritornello sembra suonata in un capannone vuoto, lontano dal resto della band, quasi a voler sottolineare il concetto di separazione e solitudine.

RIBES NERO
Non c’è arma “buona” per combattere una guerra. C’è il nero. E l’aspro e l’amaro. A volte è solo questo che vedi e senti. L’apparenza confonde il tuo essere, ti perde nel gorgo dell’incertezza e impastoia il tuo coraggio. 
Reggere l’urto iniziale, andare oltre e tener duro fino in fondo, è per pochi.
Le atmosfere di questo brano richiamano ritmi R&B, quasi hip-hop, che contrastano coi suoni più pop degli strumenti solisti e del canto, fino ad unirsi con le sonorità gospel del coro finale.

SIMILI E CONTRARI
Il bisogno di piacergli prima, la paura di deluderlo poi. Infine la consapevolezza che la verità di un figlio può affondare le attese di un padre. Soprattutto se in quella verità è insediata la sua felicità. Ma i sentimenti buoni restano buoni e non devono far male. Non possono far male!
Nel ritmo mediterraneo con sonorità calde e decise, tra gipsy e reggaeton, emerge il tema dell’amore vero che, con tutta la sua bellezza, fa da scudo contro ogni insidia dettata dalla paura dell’ignoto.

IL BACIO CON LA TERRA
Un cane che gioca sotto la pioggia battente diventa ispirazione di una riflessione. Le proprie paure più intime si possono superare solo lasciandosi attraversare dal dolore. La pioggia diventa una sorta di benedizione, una specie di collante tra cielo e terra, tra quello che siamo e quello che potremmo essere, tra l’abbandono e il ritrovarsi.
Il brano è una vera e propria esperienza sensoriale, in cui ci si perde nel buon odore della terra bagnata e, tra le carezze classiche degli archi (arrangiati da Valter Sivilotti), si può gustare il faticoso raggiungimento della libertà sognata e della tanto attesa rinascita.

RISALIRE
Un testo scritto dalla cantautrice nel 2014 dopo la fine di un’importante storia d’amore. La canzone, inizialmente non prevista nell’album, è stata suonata da Rita durante una delle pause in studio di registrazione. 
Affascinata da un Fender Rhodes, la cantautrice si avvicina allo strumento, suona e canta questa sua “vecchia” composizione, ignara del fatto che Leo, nella sala di ripresa, stia registrando il tutto. Durante la registrazione nessuno conosceva ancora il significato di speranza e rinascita che avrebbe assunto quel testo qualche mese dopo, così, per volontà di tutti, la canzone è stata aggiunta alla tracklist dell’album.


Etichetta: Volume!

Pubblicazione: 6 aprile 2018

BIO

Rita Zingariello, nata a Gravina in Puglia, a cavallo tra il segno della Vergine e della Bilancia.
Sin da bambina studia pianoforte, per poi avvicinarsi al canto, materia nella quale si diploma nel 2005. L’attrazione esercitata dalla musica e la necessità di “materializzare” pensieri ed emozioni, hanno reso piuttosto immediata la personale scelta di iniziare a comporre. Nel 2008 il suo primo EP da cantautrice, “E’ alba”, segnerà l'inizio di un’intensa attività di live. Nel 2012 vince il Contest “Musica è” e nello stesso anno è tra i vincitori di Sanremo rock e finalista di Castrocaro.
Negli anni seguenti sente la necessità di ampliare i suoi ascolti e avvicinare le sue produzioni a mondi diversi dal pop. Si avvicina così alla musica jazz con un progetto inedito, “Incondizionatamente”, con Daniele e Tommaso Scannapieco, Ettore Carucci e Giovanni Scasciamacchia, che ottiene numerosi consensi da parte di un pubblico più critico.
Nel 2014 arriva il suo secondo lavoro discografico, “Possibili percorsi”, con la produzione artistica di Phil Mer, pubblicato da “Digressione music”. Dal 2015 ad oggi è tra i finalisti e vincitori di vari Festival in Italia: Frequenze Mediterranee, Biella Festival, Festival della Canzone Friulana, Voci per la libertà per Amnesty International, UP, Festival dell’Alta Murgia, Red Bull Tour.
Apre, tra gli altri, i concerti di: Gino Paoli e Danilo Rea (2013), Paola Turci (2015), Mario Venuti e PFM (2016). Nel 2017 diventa protagonista di un tour dedicato ai maggiori successi di Mogol, dove è lo stesso autore a volerla al suo fianco sul palco, come interprete e cantautrice.
Da aprile 2017 comincia a lavorare al suo nuovo disco “Il canto dell’ape” e con l’amico chitarrista Vincenzo Cristallo comincia una stretta collaborazione sugli arrangiamenti dell’album.
Sceglie di produrre personalmente il disco attraverso quella che si rivelerà essere una delle campagne di crowdfunding di maggior successo registrate sulla piattaforma di Musicraiser, con oltre 200 sostenitori e un obiettivo più che raddoppiato.
L’uscita del disco ha poi subìto un’interruzione improvvisa e la forzata attesa è trascorsa attraverso un gioco, “Cover a richiesta”, che da agosto 2017 ad oggi, ha riscontrato, sui profili social dell’artista, un’importante partecipazione e numerose condivisioni.

Contatti social

RICCARDO D’AVINO: “PRESA D’INCOSCIENZA” è l’ep del cantautore torinese



Non un disco di protesta verso il mondo, ma una presa di consapevolezza nei confronti di se stessi.


Presa di incoscienza” è una vera e propria dichiarazione d'intento nei confronti della vita e della società. Il filo conduttore che lega il tutto è la consapevolezza della propria incoscienza (o coscienza, a seconda di come la si vuole vedere), sia essa caratteriale, sociale, etica.
Non è un disco di protesta nei confronti di ciò che il cantautore ha intorno - come può sembrare - ma un’autoanalisi priva di schermature ed ipocrisie in quanto egli stesso è artefice di tutto ciò che di "sbagliato" ha dentro e fuori.
«Ho sempre considerato la musica come il mio mezzo di espressione più efficace. La considero la mia migliore arma per poter veicolare il mio pensiero, le mie idee. Credo di essermi innamorato della chitarra fin da piccolo, tra le cassette dei Led Zeppelin di mio padre in macchina e le chitarre che sentivo ogni domenica in chiesa a messa. A 13 anni, finalmente, mi feci regalare la mia prima acustica per Natale. Da quel momento in poi, non ho più abbandonato questo strumento. Sono arrivati i primi insegnanti, le prime chitarre elettriche, poi i primi gruppi, le prime canzoni. A 18 anni invece, mi sono innamorato dello strumento voce. E' stato in quel periodo che ho iniziato a sentire l'esigenza di cantare. Cantavo sempre, per strada, in classe, a casa. Urlavo, a dire il vero, ma sentivo che era un'altra cosa di cui avevo bisogno, che mi faceva stare bene. Ho iniziato a prendere lezioni di canto. Poi, quasi subito, a propormi anche come cantante nei gruppi in cui suonavo. Alla fine, ho deciso di cantare da solo le cose che scrivevo. Mi è sempre piaciuta tanta musica diversa, anche se sicuramente la mia passione è incentrata sul rock e sulla canzone d'autore. Da non trascurare comunque il mio passato, in cui ero un grande ascoltatore di metal prima e di alternative rock e punk dopo». Riccardo D’Avino




TRACK BY TRACK

Tutto nel mio nome, primo singolo estratto, primo singolo estratto, parla di come siamo noi stessi gli artefici, anche indiretti, di tutto il male che abbiamo intorno e di cui spesso ci lamentiamo o indigniamo: le guerre, le ingiustizie sociali, lo sfruttamento di cose e persone”.

"Inno alla noia è una canzone che indica la noia come il principale collante di una relazione, elevandola ad un nuovo sentimento. E' dedicata a tutte le coppie che si sentono a proprio agio nella loro monotonia, per paura di troncare una relazione comoda, anche se vuota, per non rimanere soli”.

In Ti aspetto invece immagino l'amore verso una persona come una continua attesa, che può durare anche una vita intera. Si “aspetta” qualcuno perchè non lo si conoscerà mai abbastanza, perchè chi amiamo davvero avrà sempre qualcosa di nuovo da donarci, ogni giorno”.

"Mediocre coscienza è la mia stessa coscienza che mi parla, attraverso tutte quelle cose e persone che ci bombardano di adrenalina, bisogno di affermazione, voglia di strafare. Mi dice che la mia vita serena e da persona onesta non è abbastanza e che dovrei scrollarmi di dosso tutta questa mediocrità, fare sempre il passo più lungo della gamba. Solo così potrò salvarmi”.

"Uno di questi giorni è una canzone in cui metto a nudo tutte le mie ansie, il mio senso di inadeguatezza, la mia paura di essere sempre troppo lento rispetto alla velocità del mondo. E' un brano in cui parlo di tante cose che vorrei fare o vivere, anche se non so bene quando”.

Il disco si chiude con Non dormi ancora, un brano scritto proprio una notte in cui, assalito dalle mie preoccupazioni, non riuscivo a dormire. La mia testa era in guerra con sé stessa. Non importava se il giorno dopo avrei avuto da fare o mi sarei dovuto alzare presto. Quella notte la mia anima si stava guardando allo specchio e si sentiva brutta. Non poteva certo permettersi di andare a riposare.
È questa la canzone ideale per essere posta al fondo del disco, perché è con essa che la “presa d'incoscienza” è definitivamente compiuta”.

Autoproduzione

Pubblicazione album: 30 marzo 2018

BIO

Riccardo D’Avino è un cantautore proveniente da Torino, dove è nato il 9 novembre 1986.
Fin da piccolo si appassiona a vari generi musicali ed in particolar modo alla canzone d'autore. Dopo aver suonato in varie band locali, inizia il suo percorso solista nel 2009, pubblicando il suo primo EP “Fuggire e ritornare”.
A questo lavoro fa seguito una forte attività live e nel 2010 viene notato dall'etichetta Can Can Music Publishing, che lo ripubblica e produce il videoclip di “Due o tre cose che so di te”, singolo tratto dall'EP.
Negli anni successivi, prosegue il percorso del cantautore con l'etichetta, che lo presenterà al Festival di Castrocaro nel 2012 (dove arriverà in semifinale) e alle selezioni di Sanremo Giovani 2013, con il brano “E fine non avrà”, che uscirà come singolo nello stesso anno. La canzone entra in rotazione in diverse radio indipendenti e approda nella “Indie Music Like”, nota classifica musicale stilata dal MEI e dedicata ai brani più trasmessi dalle radio indie. Nel 2014, Riccardo pubblica un nuovo singolo, “C'è qualcosa che non va”, che riscuote un ottimo successo sul web, grazie ad un videoclip divertente ed ironico. Sarà il preludio per il suo primo album, “Ritorno al silenzio”, uscito nel 2015 e contenente 10 brani, tra cui il nuovo singolo “Maledetta domenica”, forse la sua canzone più conosciuta ed apprezzata ad oggi. Al disco ha fatto seguito un tour in diverse regioni d'Italia, che ha contribuito a rendere Riccardo più popolare nel panorama underground italiano. Forte di questi risultati, a fine 2017 Riccardo registra il suo nuovo album "Presa d'incoscienza". Il disco è stato finanziato con una campagna di crowdfunding su Musicraiser, che ha confermato la fedeltà dei suoi fan. "Presa d'incoscienza" uscirà il 30 marzo 2018, insieme al singolo di lancio “Tutto nel mio nome”.




Contatti e social

Sito ufficiale – www.riccardodavino.com

Atmosfera Blu feat. IVA ZANICCHI #ZINGARAsalsa È LA REINTERPRETAZIONE IN CHIAVE SALSA DELLA STORICA CANZONE DI IVA ZANICCHI





#ZINGARAsalsa è un tributo all’internazionalità di “Zingara” in una inedita versione a ritmo di salsa, cantata da Anna Lanza in spagnolo e in inglese, con la straordinaria partecipazione di Iva Zanicchi che interpreterà la parte in italiano. Il testo in inglese è stato tradotto da Mariangela Santamaria ed approvato dalla Universal Music Publishing Ricordi srl.
Grazie alla collaborazione di Mario Gregorio, dell’editore Sandro Allario e di un cast d’eccezione formato da musicisti dalla carriera straordinaria si realizzerà questo progetto che, di certo, darà grande visibilità e prestigio alla band barcellonese,
Anche il ballo sarà protagonista con la presenza di un ballerino, nonché coreografo di fama nazionale, insieme ad un corpo di ballo composto da ragazze del comprensorio messinese, dettaglio fortemente voluto da Anna e Giuseppe per rafforzare il proprio legame con la terra d’origine e con le realtà locali che li hanno sempre sostenuti.
Giuseppe Santamaria ha spiegato tutti i dettagli del progetto artistico, che prevede la realizzazione dell’arrangiamento ad opera di musicisti di primo piano: Luca Sbardella, musicista presente in moltissimi programmi Rai e Mediaset degli ultimi anni, oltre a suonare il sax, coordinerà la sezione fiati ed ha affidato l’arrangiamento al maestro Stefano Zavattoni, illustre personaggio nel mondo della musica italiana. Sergio VitaleLuca GiustozziPaulo La Rosa, e Lorenzo Poli, bassista amico di lunga data degli Atmosfera Blu, nonché artista che da sempre collabora con i nomi più importanti della musica italiana, completano la band d’eccezione che darà a questo progetto un tocco di altissimo livello. La fisarmonica, naturalmente, sarà suonata da Giuseppe Santamaria. Giuseppe Meli, ballerino e coreografo di fama nazionale, realizzerà la coreografia che sarà interpretata, oltre che da lui stesso, da un corpo di ballo composto da allieve di alcune scuole del comprensorio tirrenico, da sempre vicine alla band barcellonese: Balli sotto la luna, Dancing Art, Domi Pro Dance, Fly Dance, Happy Dance, Harmony Dance, Soul Dance, Stars Dance Academy.





Il progetto verrà presentato con un concerto al Teatro Mandanici di Barcellona P.G. con la partecipazione straordinaria di Iva Zanicchi, che, accompagnata proprio dalla band Atmosfera Blu, dedicherà al pubblico alcuni dei suoi grandi successi.

Rado date: 23 marzo 2018

Autoproduzione

BIO


ATMOSFERA BLU nasce artisticamente nel 2000 ad opera di Annamaria Lanza e Giuseppe Santamaria. Tanti i successi e i consensi maturati negli anni, tutti documentati da molti siti d’informazione on line, organi di stampa come la Gazzetta del SudLa Sicilia e Il Giornale Di SiciliaMolte anche le partecipazioni a programmi televisivi e radiofonici di importanti emittenti del settoreIl 2010 è l'anno di una collaborazione prestigiosa: Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone scrivono per Anna il brano Ti ricordi il mare, da proporre alle selezioni dei giovani per il Festival di Sanremo. Nel corso degli anni, oltre a diverse produzioni di brani di grande successo internazionale, sono stati pubblicati alcuni inediti, elencati in dettaglio nella discografia della band. Nel 2012 Giuseppe ottiene un riconoscimento importante: il brano Fiesta latina, scritto da Walter Losi e Paolo Barbieri vince il festival nazionale della fisarmonica Musica Senza Parole di Castelfidardo. Grandi soddisfazioni arrivano dai tour estivi (ogni anno completamente rinnovati) con oltre 30 concerti in Sicilia, tra i quali anche l'apertura di spettacoli di grandi artisti italiani, come Mario Venuti e Alexia; quest’ultima in particolare ha avuto parole di elogio notevoli per Anna e l’intera band. A gennaio 2016 inizia il viaggio di Musica e Dintorni, programma TV ideato e condotto da Anna e Giuseppe dedicato alla scoperta delle bellezze della provincia di Messina. Il 2016 regala grandi emozioni: il singolo “Che sia per sempre”, il concerto ad Acireale per il Carnevale più bello di Siciliala prima tournée in Canada, un tour estivo di 25 concerti e, a dicembre, la pubblicazione del cd live “Suoni dal palcoscenico”. Il 2017 prende il via con il concerto al Teatro Mandanici di Barcellona Pozzo di Gotto, evento che mette in evidenza, anche agli occhi di chi segue la band da anni, i valori artistici di ogni singolo componente. Si pensa subito ad un replica, dato che i 1000 posti a disposizione non sono bastati ad accontentare le migliaia di persone che si sono presentate al botteghino. Il tour estivo 2017, sempre nuovo in ogni sua parte, porta proprio il nome di “Suoni dal palcoscenico”, quei suoni che hanno regalato e, si spera, continuano a regalare emozioni. A novembre si torna in Canada per una tournée che vede la band impegnata in teatro, ottenendo grandi riconoscimenti anche da parte della stampa canadese. Il 2018 si apre con l'annuncio della prestigiosissima collaborazione con la grande Iva Zanicchi, che canterà in italiano la nuova versione di Zingara a ritmo di salsa, con le parti in spagnolo e inglese cantate da Anna, e che sarà protagonista l’8 aprile, insieme alla band barcellonese, di un concerto al Teatro Mandanici di Barcellona P.G.



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